Oggi questa Cattedrale ha il piacere di ospitare per qualche riga l'essere pandimensionale che mi ha fatto conoscere i misteri di Eris Discordia, storia che vi racconterò in un altro momento, le leggende dicono che costui abbia scritto un libro che nasconde i segreti per comprendere la realtà, abbia tradotto il Codex Seraphinianus e sia un mago e giocatore di ruolo! Un bell'applauso per Frater Myrmicoleon!!
Se un giorno il vostro vicino di casa
hippie fuori tempo massimo, che non si lava mai i capelli grigi ma in compenso
ha una collezione di vinili che neanche in una biblioteca storica, entrasse
trafelato in casa vostra brandendo il suo bong lungo un metro e dicendovi che
ha appena parlato con Dio, nutro la relativa certezza che non vi siedereste
subito al pc a trascrivere le sue rivelazioni prima che svaniscano in una nube
di cannabis (un vero discordiano lo farebbe eccome, ma transeat).
Ora, senza
scomodare dalla sua tomba Timothy Leary buonanima, né tantomeno schiere di
stregoni e sciamani che ne hanno fumate di ogni dall’origine dei tempi, nessuna
persona di buonsenso prenderebbe sul serio chi inala vapori di dubbia
provenienza e poi fonda una religione, no?
Certo che no.
Impossibile.
Assurdo.
Facciamo un
passo indietro. Un passo bello lungo, tipo di 4.000 anni. E ci ritroviamo in
Egitto.
In una delle
versioni del mito di Osiride (sì, ce n’è più di una, da quelle parti non
avevano il Concilio di Nicea), ovvero quella riferita da Plutarco, per togliere
di mezzo l’odiato fratello Osiride il dio Seth se ne pensa una che poteva
funzionare giusto in Egitto: porta una cassa da morto a una festa degli dèi e
sfida i presenti a sdraiarcisi per vedere chi ci sta dentro da dio. Chi vince
può tenersela (e toccarsi le palle per il graditissimo augurio…) Tutti gli dèi
ci provano, e ovviamente solo Osiride la occupa alla perfezione. Ma prima di
poter gridare “Ehi, ragazzi, ho vinto una cassa da morto!” Set lo chiude dentro
e corre a gettare la cassa nel Nilo. I commenti teneteli per dopo.
Cambio di scena:
la cassa galleggia per gli affari suoi fino alla città di Biblo, in Libano,
dove si incaglia a terra e sopra ci cresce un enorme albero di tamerice. Anni
dopo il re della città decide di farlo abbattere per farci un pilastro
decorativo da mettere in salotto, ma sul più bello arriva Iside, sorella e
moglie di Osiride, che sta cercando da un bel po’ il corpo del fratello-marito
e convince il re a permetterle di estrarlo dal legno (il pilastro però glielo
lascia, così a Biblo possono continuare a venerare il buco lasciato dal dio.)
Tamarix gallica |
Le vicissitudini
di Iside, Osiride e Seth continuano, ma noi per il momento ci fermiamo qui, per
dirigere la nostra attenzione sull’albero di tamerice (Tamarix gallica), che chiaramente in Egitto era sacro a Osiride. Ma,
tra tutte le piante che i bravi egizi avevano a disposizione, perché scegliere
proprio questo alberello, che ha indiscutibilmente un buon profumo ma in se
stesso non è mai servito a granché, se non come foraggio per gli animali? Forse
perché capita che la tamerice contenga un’elevata concentrazione di DMT, una
delle più potenti molecole allucinogene esistenti in natura, la stessa con cui
gli indios dell’Amazzonia preparano l’ayahuasca?
(Se l’argomento vi piglia ma non avete tempo di sorbirvi mille libri in
svariate lingue, date una scorsa a DMT: la molecola dello spirito di Rick Strassman.)
Verrebbe quasi da pensare che,
quando Iside ha “estratto il dio dall’albero”, avesse determinate idee in
mente… (In altre versioni l’albero sacro di Osiride è l’acacia, ma non cambia
un bel niente: pure nell’acacia c’è DMT in abbondanza.)
Vabbè, mi direte
voi, questo è solo un mito: che c’entra coi profeti veri?
Magari niente.
Capita solo che la tamerice, che cresce molto bene nei terreni aridi, infesta
anche l’altopiano del Sinai. Come capita che il DMT sia una sostanza volatile,
che può vaporizzare a determinate temperature. E sul Sinai Mosè ha parlato con
un cespuglio in fiamme.
Ma io non sto
lanciando nessuna teoria, sia ben chiaro. Non esiste la benché minima prova
storica di tutto ciò.
D’altronde, se
vogliamo considerare il monoteismo più antico al mondo, ovvero la religione
zoroastriana, alla sua origine troviamo la predicazione del profeta iranico
Zarathustra, che per quanto ne sappiamo parlava solo quando era sobrio e si
reggeva bene in piedi.
Poco male che il
sacrificio più importante che si potesse offrire agli dèi nell’Iran di quei
tempi – poi conservato anche nella ritualità zoroastriana stessa – fosse
l’offerta dell’haoma, una bevanda
sacra di cui oggi ignoriamo la composizione. Gli storici le hanno tentate tutte
per identificarla: secondo alcuni era fatta col DMT di cui sopra, secondo altri
con l’ergot (in pratica l’LSD), o con l’amanita muscaria, o con la cannabis, o
con la psilocibina, o con l’efedrina… potete aggiungere sostanze psicotrope a
piacere, è un gioco divertente. Una cosa però è certa, perché i testi
zoroastriani non lasciano dubbi in proposito: chi la beveva sballava di brutto,
si sentiva forte, non provava più dolore e spesso aveva voglia di darci dentro
a letto (forse era per questo che piaceva anche agli dèi). Il suo equivalente –
anche linguistico – in India era il soma,
sostanza con le medesime proprietà se vogliamo dar retta ai Veda, apprezzata al punto da essere
venerata essa stessa come una divinità (un dio lunare, per la precisione).
Un vero e proprio bouquet di possibili piante alla base della preparazione del Soma |
Ok, tutti calmi:
sappiamo che i sacerdoti iranici la versavano per gli dèi. Questo non vuol dire
che se la bevessero pure loro… Ah, ecco: nell’undicesimo Yasna (una delle sezioni dell’Avesta,
il testo sacro dello zoroastrismo) c’è scritto che i sacerdoti prima del
sacrificio ci infilavano la lingua.
Va bene, ma forse Zarathustra non se la calava. Non
prima di mettersi a parlare di Dio.
Peccato che lo
stesso non si possa dire di uno dei suoi più curiosi successori, il sacerdote
persiano Wiraz.
Vissuto in epoca
sassanide (III-VII secolo, ma stabilire una data anche approssimativa è
un’utopia), la sua storia è raccontata nell’Arda
Wiraz Namag (Il libro di Arda Wiraz,
steso probabilmente nel X secolo), oggi spesso indicato come “la Divina
Commedia della cultura zoroastriana”.
Per riassumerlo
in due parole: in un momento in cui la Persia sente l’influsso di religioni
straniere (tra i colpevoli è citato Alessandro Magno, fate un po’ voi) e la
fede zoroastriana ha bisogno di una scrollata, il re in carica (forse Sapore
II) dà ordine ai suoi sapienti di trovare conferme della veridicità delle
parole di Zarathustra. Per l’incarico i sacerdoti scelgono Wiraz, il più pio
tra loro, ma il brav’uomo non è esattamente entusiasta di partire da vivo per
l’Aldilà, operazione che comporta il tracannare un intruglio di vino e haoma (secondo un’altra versione vino e
giusquiamo, che sarebbe pure peggio…)
Alla fine lui e
le sue sorelle-mogli (questo tizio aveva sette sorelle e se le era sposate
tutte) vengono convinti a botta di viscide rassicurazioni: il sacerdote beve la
pozione e piomba in coma per sette giorni e sette notti. Al risveglio racconta
di essere salito in Cielo, di aver parlato con Zarathustra stesso, con gli
angeli, con i morti beati e di aver conversato con Dio in persona (Ahura
Mazda), poi di essere sceso all’inferno e di aver assistito alle pene del
dannati, che descrive con dovizia di particolari, per confermare infine che
Zarathustra aveva sempre avuto ragione da vendere.
Tutto grazie a
una caraffa di vino più DMT. O forse LSD. O forse psilocibina…
Io mi arrendo.
Da qui in avanti continuate voi.
Frater Myrmicoleon
Profeta della Perplessitudine, Guida
Cieca degli Indecisi
“Ignora il leone, segui la formica! O il
contrario.”
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